La trasmissione televisiva Quarto Grado ha divulgato un inedito documento video, relativo al 2007, in cui Olindo Romano, intervistato dallo psichiatra Massimo Picozzi, rilascia la sua confessione sulla strage di Erba. L’uomo è stato condannato all’ergastolo, insieme alla moglie Rosa Bazzi, per l‘omicidio della vicina di casa Raffaella Castagna, della di lei madre Paola Galli, del piccolo Youssef Marzouk (figlio di Castagna) e di un’altra condomina, Valeria Cherubini.
Di seguito vi proponiamo il testo, opportunatamente adattato per chiarezza, della confessione, in cui Romano ricostruisce i continui screzi avuti con la signora Castagna, rea di disturbare eccessivamente la quiete familiare; una serie di problematiche culminate in una denuncia, sporta da Castagna nei confronti dei Romano dopo una violenta lite di vicinato. Alcune porzioni di testo fanno riferimento a questo video e a questo video. L’uomo parla di “una lezione da dare” e dipinge un quadro persecutorio molto evidente, ammettendo di non provare alcun rimorso per quanto fatto, ma contraddicendosi in parte, a distanza di tempo, sulle modalità di pianificazione del delitto
Olindo Romano: Non avevamo un piano preciso, volevamo solo darle un po’ di legnate, e ci avevamo già tentato prima, l’aspettavamo sempre davanti al portoncino con la spranga, ma lei chiudeva sempre la porta in tempo.
La sera della strage, invece, la porta era aperta, sennò non avremmo fatto niente neanche quella volta.
Due anni prima l’avevamo inseguita a tutte le fermate del treno che prendeva per andare al lavoro, per spaventarla, perché non ce la facevamo più; poi lei ha chiamato i carabinieri e ce ne siamo andati.
Ma se ci sono delle regole, valgono per tutti e vanno rispettate. Quella bastarda aveva cominciato a portarsi in casa gli amici suoi, tutti neri… poi sono arrivati i tossici, casino e schiamazzi. A quel punto, o vendevamo la casa, o la facevamo fuori.
Io andavo a dormire presto, e lei stava su fino alle due a far casino.
Lei lo faceva apposta perché sapeva che a noi dava fastidio. E noi non volevamo subire l’umiliazione di finire in tribunale accusati, quando in realtà avevamo ragione!
Insomma, quella sera lì siamo andati su io con la spranga, e mia moglie col coltello.
Massimo Picozzi: Allora non era solo una lezione…
Olindo Romano: Abbiam preso quello che avevamo; io la spranga ce l’ho in macchina, perché non si sa mai. Noi siamo andati lì per dare una lezione, poi è andata così e abbiamo fatto la strage. Ma personalmente non ho alcun rimorso, niente. Rimorsi di coscienza non ne ho, e neanche mia moglie. Io la notte dormo tranquillamente. L’unica cosa che non mi piace è essere qui, da solo. Io e mia moglie abbiamo commesso un fatto insieme? Bene, prendete, ci date l’ergastolo a vita, ci mettete insieme. Dobbiamo pagare? Paghiamo. Ma dividerci? No.
Massimo Picozzi Voi però avevate pensato a cosa sarebbe potuto succedervi dopo un massacro del genere?
Olindo Romano: No, perché pensavamo di farla franca. Se Frigerio fosse morto, l’avremmo fatta franca e avremmo continuato la nostra vita normale.
Ora si entra nel vivo e Romano ricorda quanto accaduto la sera dell’11 dicembre 2006 a Erba, pur con qualche titubanza
Più passa il tempo, meno mi ricordo. Quando ho confessato, è stato solo perché così, dopo due giorni, avrei rivisto mia moglie, e allora ho buttato lì quello che mi ricordavo così.
Più passa il tempo e meno mi ricordo. Quella sera lì Rosa aveva uno dei suoi mal di testa… eravamo tranquilli sul divano e sentiamo sbadabum, un casino con la pattumiera, a destra e sinistra, allora abbiam deciso, basta.
Mia moglie ha preso il coltello e io le sono andato dietro con la spranga.
Siamo arrivati su, la porta era aperta, e c’era la Raffaella, non so se gli ho dato una o due legnate in testa, ma è caduta per terra secca.
Dietro c’era la madre, idem, secca.
Mia moglie io non l’ho neanche vista, ma sicuramente è entrata e ha sgozzato il bambino.
Poi tornando indietro non so se ha finito la Raffaella a coltellate, ma penso di sì.
Io in quel momento non ho provato nulla, per me è stato come ammazzare un coniglio.
Abbiamo dato fuoco a tutto, ma non per cancellare le prove (quali prove? Avevamo i guanti, e poi abbiam buttato via tutto!).
Senta, prima che andassimo a vivere lì, mia moglie non aveva mai sofferto di mal di testa; qualcuno ci aveva detto che quella ragazza (Castagna) faceva parte di una setta, e allora mia moglie si era convinta le avesse lanciato una maledizione; l’unico modo per annullarla era bruciare tutto. Una volta bruciato tutto, abbiamo chiuso la porta, per non danneggiare gli altri locali, e ce ne siamo andati
Qui si innesta il racconto dell’aggressione a Valeria Cherubini e Mario Frigerio, unico sopravvissuto alla strage e unico testimone dell’eccidio. Romano conclude il colloquio
Olindo Romano: Mentre scendiamo, io vedo la signora Valeria che torna col cagnolino; non avevamo vie di fuga. Allora siamo rientrati in appartamento, stando in soggiorno, dove si poteva respirare, per dare il tempo alla signora di tornarsene a casa. Però, quando abbiamo aperto la porta, probabilmente è uscito l’odore del fumo, lei se n’è accorta ed è andata a chiamare il marito. Dopo qualche minuto noi siamo usciti, e ce li siamo ritrovati fuori.
Io l’unica cosa che mi ricordo è che son saltato addosso al marito. Poi non so com’è andata.. mia moglie gli sarà saltata addosso a sua moglie.Massimo Picozzi: E poi, finito il tutto?
Olindo Romano: Finito il tutto, siamo scesi tranquillamente, siamo scesi tranquillamente in lavanderia, ci siamo cambiati, ci siam tolti la roba sporca di sangue. Dicono che va in giro tanto sangue, ma non è mica vero!
Io ce l’avevo un po’ sul naso, poi sui pantaloni e sui guanti. Abbiam messo tutto nel sacco della pattumiera, e siamo andati a Como.
E in viaggio, ci siamo accorti che le mani erano sporche di sangue, perché non avevamo usato i guanti di plastica, ma di lana, che lascia passare. E allora siamo andati al confine con Erba, dove c’è un lavatoio, ci siamo lavati, abbiamo preso il sacco dei vestiti, che era grosso, e l’abbiam diviso in tre più piccoli.
Uno l’abbiam buttato nel cassonetto che c’era lì, un altro ad Albavilla, un altro a Lipomo [piccoli comuni del comasco, ndr].
Poi siamo andati a Como, ci siam guardati le nostre vetrine, siamo andati al Mac, e poi siam tornati a casa
Massimo Picozzi: Avete parlato tra di voi di quello che era successo?
Olindo Romano: Neanche più di tanto, perché eravamo convinti di aver ucciso tutti.
Poi, invece, quando siamo andati su, abbiamo saputo che ce n’era uno ferito gravemente.
Allora ho detto a mia moglie ‘Speriamo muoia anche questo’. Poi invece non è morto, e adesso sono qua.
Non dico che non devo pagare, per l’amor di dio, ma io volevo stare con mia moglie
Al link che segue invece potete rivedere la confessione di Rosa Bazzi, la moglie di Romano.