Nel 79 d.C., l’eruzione del Vesuvio cancellò le città di Pompei ed Ercolano, incenerendo istantaneamente migliaia di persone. Tra le scoperte più straordinarie emerse dagli scavi, nel corso degli anni, una ha lasciato gli scienziati sbalorditi: il cervello di un giovane uomo ritrovato in un letto di Ercolano si è trasformato in vetro. Il fenomeno, noto come vetrificazione, è rarissimo nei tessuti organici e ha acceso un intenso dibattito scientifico su come sia stato possibile. Il mistero è stato svelato da una serie di studi condotti dall’Università Roma Tre che hanno dimostrato che la temperatura raggiunta dall’aria circostante superava i 510°C. L’ondata di calore estremo ha sciolto il cervello del giovane, che poi si è rapidamente raffreddato e solidificato in frammenti vetrosi.

Questo processo è simile a quello che avviene con l’ossidiana, il vetro vulcanico naturale. Tuttavia, i flussi piroclastici da soli non avrebbero potuto generare queste condizioni, poiché tendono a raffreddarsi più lentamente. Gli scienziati ipotizzano quindi che il fenomeno sia stato causato da una nube di cenere estremamente calda, capace di investire la vittima in pochi istanti e poi disperdersi rapidamente, permettendo il raffreddamento improvviso necessario alla vetrificazione.
L’analisi dei frammenti recuperati dal cranio e dalla colonna vertebrale ha confermato la presenza di neuroni e proteine cerebrali, suggerendo che si tratti davvero di tessuto cerebrale fossilizzato. Questo rende il caso unico nel suo genere, mai documentato prima su esseri umani o animali.
C’è però chi è scettico sulla scoperta, come la forense Alexandra Morton-Hayward, secondo la quale la vetrificazione di un tessuto organico richiederebbe temperature molto più basse, come avviene nella criopreservazione. La studiosa, dunque, solleverebbe dubbi sull’effettiva qualità del materiale ritrovato. Ipotizzando che non si tratti di un cervello, ma di un’altra sostanza organica alterata dal calore.