Un sacchetto di biglie è ispirato alla storia vera dello scrittore francese Joseph Joffo che, durante la Seconda Guerra mondiale, si vide costretto a separarsi dalla propria famiglia per fuggire all’occupazione tedesca della capitale Parigi.
Con ventimila franchi in tasca, Joseph e suo fratello Maurice ricevettero istruzioni dal padre Roman, ebreo di origine russa, per dirigersi con qualsiasi mezzo di trasporto verso Nizza, città costiera del sud della Francia occupata all’epoca dagli italiani, ma libera dalla presenza nazista. Tuttavia, dopo la caduta del governo Mussolini e la successiva fuga da Nizza, la città tornò in mano ai nazisti.
Così, Joseph e Maurice furono catturati dalla Gestapo all’Hotel Excelsior. Provvidenziale fu l’intervento di un prete che fornì falsi certificati di battesimo per salvare i ragazzini. Quasi tutta la famiglia Joffo si salvò al termine della guerra, a eccezione del papà, morto ad Auschwitz.
Alcuni anni dopo la conclusione del conflitto, durante la convalescenza per un incidente sportivo, Joseph, che nel frattempo aveva seguito le orme paterne, diventando parrucchiere, decise di esorcizzare i ricordi di quegli avvenimenti scrivendo il romanzo. Il libro, pubblicato nel 1973 (in Italia edito da Rizzoli) fu un successo planetario, tradotto in 18 lingue.
Il titolo è ispirato a una biglia che il padre dello stesso romanziere gli diede in tenera età e che tenne simbolicamente in tasca come amuleto. Ma anche come simbolo di vita e speranza.
L’opera letteraria divenne a sua volta un soggetto cinematografico di due diverse opere filmiche, portate rispettivamente sul grande schermo nel 1975 con la regia di Jacques Doillon. E nel 2017 con la direzione del canadese Christian Duguay.