Vittorio Gassman, icona del cinema e del teatro italiano, ha lasciato un’eredità di pensieri profondi e ironici su vita, amore e arte. Soprannominato “Il Mattatore”, per le sue doti recitativi sublimi, che gli permettevano di passare dalla tragedia alla commedia in un solo battito di ciglia, le sue parole riflettono una visione unica, spesso intrisa di cinismo, umorismo e sensibilità. A lungo affetto da depressione bipolare, malattia di cui non ha mai fatto mistero, ha rappresentato forse l’attore con la A maiuscola. In questo senso possiamo interpretare il leggendario epitaffio che compare sulla sua lapide, al cimitero romano del Verano: “Non fu mai impallato“.
Rivelò lui stesso la frase, che in gergo tecnico teatrale vuol dire non essere mai oscurato, quindi essere aperto, esposto, in un’intervista di Corrado Augias pubblicata sul quotidiano la Repubblica il 2 dicembre del 1989, quando aveva 67 anni, in un momento difficile di salute. Quando Augias chiese: “E di sé che direbbe?”, Gassman rispose:
“La mia epigrafe, se è questo che mi chiede, è già scritta. Sulla lapide si leggerà: Vittorio Gassman, fu attore. Poi una piccola chiosa, giù in fondo quasi illeggibile: Non fu mai impallato. È un termine tecnico cinematografico: è impallato ciò che si nasconde alla macchina da presa. Io mi sono sempre fatto vedere, mi sono esposto e, a teatro, credo addirittura d’ aver avuto un certo coraggio, che per me, date le premesse, è il massimo”.

Un modo ironico di raccontare la propria dipartita, certo, ma anche un atto d’amore finale per la recitazione che in più di un’occasione ha lenito le sue angosce:
“Due mesi fa ho compiuto 67 anni, certo non è l’ età smaltata e fiammante della giovinezza, eppure una sua bellezza autunnale ce l’ ha, e poi in fondo cammino ancora, gli organi funzionano, credo di non essere rincoglionito. Un paio di volte alla settimana m’ interrogo e finora mi sono sempre risposto. No, va tutto bene… Allora da dove viene lo spleen? Viene dal futuro. Il futuro mi spaventa, quello che verrà dopo. La vecchiaia è il preludio di una cosa verso la quale più che paura provo disgusto. La morte la trovo di eccezionale ripugnanza, mi fa orrore. E poi penso: dopo che sarò morto, dove andrò? Chi mi farà compagnia? Mi piacerà? Che cosa mi promettono?“
Nato a Genova il 1 settembre del 1922, da padre tedesco (il cognome vero è con due “n” finali), morì a Roma il 29 giugno del 2000 a Roma. Curiosamente, il giorno della semifinale di Euro 2000 tra Italia e Olanda, vinta dagli azzurri ai rigori. In quel caso fu costretto a “condividere” la ribalta con un evento storico. Ma no, non fu mai impallato.