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Home » Attualità » Cosa succederà in Medioriente dopo la tregua a Gaza? Tutte le fasi (e i dubbi)

Cosa succederà in Medioriente dopo la tregua a Gaza? Tutte le fasi (e i dubbi)

La strada per la pace in Medioriente è ancora lunga e piena di pericoli, ma la tregua a Gaza è un primo passo. Cosa succede ora?
Francesca FiorentinoDi Francesca Fiorentino16 Gennaio 2025
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Un'immagine da Gaza devastata
Un'immagine da Gaza devastata (fonte: Unicef)
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L’accordo per una tregua tra Israele e Hamas, previsto per il 19 gennaio 2025, segna un momento cruciale dopo oltre 15 mesi di conflitto sanguinoso. Questo conflitto, iniziato con l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, ha provocato migliaia di vittime da entrambe le parti, segnando una delle crisi più gravi nella regione. L’accordo, negoziato con il supporto di mediatori internazionali come Egitto, Qatar e ONU, prevede un rilascio graduale di ostaggi e prigionieri, un alleggerimento delle condizioni umanitarie a Gaza e un inizio di ricostruzione. Tuttavia, il futuro rimane incerto, con questioni politiche e di governance che potrebbero minare la stabilità della tregua.

La prima fase dell’accordo include il rilascio di 33 ostaggi israeliani, inclusi donne, bambini e anziani. Questo processo avverrà in 42 giorni e coinvolgerà anche il rilascio di centinaia di donne e minori palestinesi detenuti nelle prigioni israeliane. Durante questa fase, Israele consentirà agli sfollati di Gaza settentrionale di tornare alle loro abitazioni, sebbene gran parte delle aree siano state devastate dai bombardamenti.

La seconda fase, che inizierà 16 giorni dopo l’implementazione dell’accordo, prevede nuovi negoziati per il rilascio degli ostaggi rimanenti. Israele, in cambio, ritirerà le sue forze in una zona cuscinetto tra la Striscia di Gaza e il territorio israeliano. Inoltre, si permetterà un maggiore afflusso di aiuti umanitari nella Striscia, migliorando le condizioni di vita di una popolazione stremata dal conflitto.

Gente che festeggia a Gaza
Gente che festeggia a Gaza (fonte: Truthout)

La terza fase, fondamentale per il futuro di Gaza, includerà la ricostruzione dell’enclave palestinese sotto la supervisione di Egitto, Qatar e Nazioni Unite. Israele sarà chiamato a ritirarsi completamente da Gaza, ma permangono dubbi sul ruolo futuro di Hamas e su chi guiderà l’amministrazione della Striscia. Mentre Israele rifiuta qualsiasi ritorno di Hamas al potere, la debolezza dell’Autorità Palestinese tra i residenti di Gaza complica ulteriormente lo scenario.

Il contesto politico israeliano può rappresentare un ulteriore elemento di crisi. Mentre il governo di Netanyahu ha accettato l’accordo, esso è profondamente diviso tra le diverse fazioni politiche. Alcuni ministri della coalizione si oppongono fermamente a misure che potrebbero portare al ritiro definitivo da Gaza. Al contempo, Netanyahu potrebbe sfruttare l’accordo per migliorare la propria posizione politica interna e per riavviare i colloqui di normalizzazione con l’Arabia Saudita.

L’accordo rappresenta anche un’opportunità per gli Stati Uniti. Con il presidente eletto Donald Trump pronto ad assumere l’incarico, il suo coinvolgimento è stato determinante nel raggiungere un compromesso. L’obiettivo di Trump è presentarsi come un negoziatore globale, consolidando al contempo la relazione tra Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita.

Nonostante gli sviluppi positivi, permangono interrogativi cruciali e difficili da risolvere: la mancanza di un piano efficace di governo a Gaza, le difficoltà interne di Israele e il ruolo di Hamas. Che, per quanto indebolita, resta una presenza chiave nei territori.

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