Milena Vukotic è nota al grande pubblico soprattutto per il ruolo della dimessa Pina Fantozzi. Sì, la moglie dell’indimenticabile ragionier Ugo Fantozzi, portato al successo da Paolo Villaggio. Personaggio noto, certo, ma che ha rappresentato una parte infinitesimale di una carriera poliedrica. Segnata dalla collaborazione con registi del calibro di Luis Buñuel, Mario Monicelli, Federico Fellini e Bernardo Bertolucci. E celebrata con l’assegnazione del David. E da giovane l’attrice romana, di origine montenegrina, non aveva nulla a che spartire con la sua scialba alter-ego. Anzi.
Durante i suoi anni giovanili, infatti, la Vukotic ha mostrato una bellezza raffinata e minuta che, in qualche modo, sembrava trarre ispirazione da quella sofisticata di Audrey Hepburn. Dall’attrice hollywoodiana preso in prestito anche lo stesso taglio corto che Audrey ha sfoggiato in più di un film ma come, ad esempi, la commedia Come rubare un milioni di dollari e vivere felici. Anche dal punto di vista fisico, poi, la Vukotic ha perfettamente incarnata un ideale delicato fondato su delle linee sofisticate e contenute.
![Milena Vukotic](https://cultweb.it/wp-content/uploads/2024/05/MILENA-VUKOTIC-giovane.jpg)
Le stesse che, da ragazza, ha allenato durante i suoi studi di danza classica. Prima, infatti, che il teatro e il cinema la conquistasse, le scarpette da ballo sono state le sue fedeli compagne regalando quell’armonia di movimenti che la contraddistingue ancora oggi.
Parafrasando il titolo del film diretto da Bunuel, che l’ha vista tra i protagonisti, possiamo dire che il suo è stato ed è ancora, il fascino discreto della borghesia. Lo stesso che, inaspettatamente, ha sedotto anche Federico Fellini, da sempre attratto da bellezze più procaci.
![Milena Vukotic PlayBoy](https://cultweb.it/wp-content/uploads/2024/05/MILENA-VUKOTIC-su-playboy.jpg)
E, per finire, non poteva mancare la celebrazione di una copertina di Playboy. Un’esperienza che la Vukotic ha affrontato su invito di un amico per esaltare proprio la bellezza della donna. Tanto per dimostrare che non c’è peccato nella femminilità.